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Intervista di Valter Prette
Signor Becker, quando ha iniziato a lavorare per Imagic?
Ho iniziato a lavorare in Imagic nel 1982. All’epoca lavoravo come direttore creativo per una piccola agenzia pubblicitaria della Bay Area, e lessi un articolo su Time che raccontava come i videogiochi (in quel periodo si parlava di coin op) si apprestavano diventare un importante settore. Ero stanco del rumore delle macchine tipografiche e promisi di cercarmi un nuovo lavoro come proposito per l’anno nuovo. Vidi un annuncio sul giornale e fui una delle 350 persone che risposero alla richiesta di un Art Director in Imagic. Rimasi presso di loro per l’intero ciclo di vita della società, compreso il lavoro su progetti a contratto con Parker Brothers e Bantam Electronic Publishing; aiutai inoltre a realizzare un gioco mai uscito su Sherlock Holmes insieme a Mark Klein dopo che avevano già chiuso i battenti e messo tutto in uno scatolone.
E’ stato quello il primo incarico nel settore dei videogiochi?
Prima di Imagic avevo partecipato al progetto, sceneggiatura e illustrazione di alcuni giochi da tavolo: un gioco fantasy intitolato Sword Lords ambientato nella Terra di Mezzo orientale, e un RPG sci-fi intitolato Star Rovers. Lavorai su questi progetti perché il fantasy wargaming stava rapidamente diventando il mio hobby principale, e fui fortunato di partecipare a quei progetti! Imagic si soffermò su quei giochi per una settimana, li mostrò al presidente Bill Grubb, e prima ancora di saperlo, ero stato assunto. Mi dissero anche che i programmatori non erano molto portati per la grafica dei giochi, e mi chiesero se avessi voluto partecipare anche alla parte grafica. Dissi di sì, quanto difficile avrebbe potuto essere? Ebbene, in breve Wilfredo Aguilar mi raggiunse in Imagic (avevo già lavorato con lui in precedenza) e creammo il primo reparto di grafica per videogiochi. Eravamo solitamente in grado di realizzare tutta la parte grafica di un gioco in una settimana o poco più, utilizzando un Atari 800 con joystick, grazie ad un software che Bob Smith e Rob Fulop avevano realizzato appositamente per noi.
Che ricordi ha dell’industira dei videogiochi degli anno ottanta? C’era un approccio “romantico” in confronto ad oggi?
Il settore dei videogiochi era veramente piccolo in confronto ad oggi. Un paio di giorni dopo che Demon Attack fece la sua apparizione al nostro primo CES, i telefoni squillavano all’impazzata. Imagic ebbe una crescita estremamente rapida, e prima di accorgercene stavamo già lavorando su tutte le piattaforme dell’epoca, in primo luogo Atari 2600 e Intellivision, e quindi effettuando i porting su Coleco e Vic-20. Realizzai un paio di giochi per Odissey, utilizzando caratteri al posto della grafica tradizionale (i demoni vennero realizzati con le lettere “V” e il cannone con la lettera “A”, gli spari erano rappresentati dalla lettera “I”). Fu molto appassionante, realizzavamo presentazioni multimediali e design per le fiere a cui partecipavamo, aiutando anche nella costruzione degli stand. Ma il settore collassò così velocemente che l’aspetto romantico svanì presto, e vedere tutti i miei amici perdere il lavoro mi rese amara tutta l’industria per un bel po’ di tempo. Fu così che io e Rob iniziammo a realizzare progetti multimediali per Apple e altri lavori all’avanguardia con una nostra società dal nome Interactive Productions (in seguito pfmagic). Eravamo alla fine degli anni ottanta, e realizzammo alcuni titoli in formato CD per Philips; me ne andai in EA nel 1992 quando mi resi conto che questi progetti stavano diventando enormi e richiedevano grandi budget e team di sviluppo.
Perchè Imagic utilizzò un approccio così diverso dalle altre società?
I giochi per il 2600 venivano disegnati per apparire attraenti su sfondi neri. Tutti pensavano che questo fosse lo stato dell’arte, così diventò una specie di firma. Brian e il suo gruppo avevano creato un tool per Intellivision per creare questi giochi, così creammo tanti giochi per Intellivision in modo relativamente facile. Questi avevano uno schermo più colorato, e così lo sfuttammo. Fui particolarmente soddisfatto del risultato ottenuto con il mio design per Atlantis su Intellivision. Anche il drago di Swords & Serpents era molto bello. Brian non volle tenerlo perché utilizzava molta memoria, ma lo convinsi a lasciarlo.
Come sceglievate i soggetti per i box? C’erano dei test sui giochi in corso di sviluppo per capire la sceneggiatura del gioco?
I box passarono attraverso un’evoluzione nel tempo. All’inizio il reparto marketing di Jim Goldberg (uno dei due reparti per cui lavoravo, l’altro era il reparto di programmazione) fece alcuni test su una serie di prove di box, fino a quando un ragazzo prese un box argentato nascondendolo sotto al suo lap dicendo che lo voleva ardentemente. Fu così che decisero “Questo è il box che vogliamo!”. Era molto costoso stampare su quel supporto, perché era necessario dapprima stampare l’inchiostro bianco, lasciarlo asciugare, e quindi stamparvi sopra il colore. Ma questo creò davvero un look distintivo per i box Imagic.
Relativamente alle immagini, Willy e io guardammo i primi modellini (come i demoni in gomma con i razzi attaccati sulle loro spalle) e pensammo “Possiamo fare meglio! E anche a costi più bassi!”. Così realizzammo i modellini durante i weekend e alla sera, e li facemmo fotografare da professionisti.
Per quanto riguarda le storie, in un certo senso furono una nostra creazione. Mi ricordo di aver parlato con Bob Smith: disse di voler creare un gioco che utilizzasse una meccanica di gioco dove si utilizza il joystick per spazzare via gli oggetti; ad entrambi piaceva The Hobbit, così in qualche modo venne fuori l’idea per Dragonfire. Misi insieme diversi sprite per creare l’immagine di un drago animato, e Bob si occupò del lavoro di programmazione.
C’erano altre persone coinvolte nel processo?
Sempre. Avevamo un’altra game artist, Karen Eliot, e altre persone nel reparto grafico, capaci di creare bellissime cose. Wendy Zeto era l’art director per la maggior parte del materiale stampato, mentre io diventai rapidamente direttore creativo poichè sapevo che la vera sfida era creare i giochi; tuttavia rimasi anche a coordinare il reparto grafico.
Chi realizzò i modellini utilizzati per le copertine?
Tranne i demoni di Demon Attack e il modellino di Star Voyager, vennero realizzati tutti da me, con qualche aiuto da parte di Wilfredo Aguilar. Possiedo ancora qualche modellino in solaio.
Qual'era la tecnica utilizzata per le fotografie?
Lavoravamo con una società (Full Spectrum) che realizzava show multimediali (all’epoca si chiamavano slide show). Loro fotografavano i modellini su sfondo nero, utilizzando molti trucchi di composizione e illuminazione che venivano utilizzati nei primi film di Guerre Stellari, anche se solo su una singola immagine 4x5. Penso che realizzare l’immagine finale costasse circa 2000$.
La box art di Demon Attack è stata subito cambiata dopo il lancio del gioco, rendendo le versioni originali del box un oggetto prezioso per i collezionisti. Ci può finalmente rivelare la verità sulle scelte effettuate da Imagic?
Non ci pensammo molto. Lavoravamo con un pittore molto bravo che realizzò un bellissimo dipinto di demoni sulla luna, così quando venne terminato decidemmo di utilizzarlo. All’epoca nessuno apprezzò particolarmente il primo box art; suppongo fosse qualcosa che doveva crescere e svilupparsi. Tenni l’ultimo demone di gomma e lo restituii a Rob alcuni anni dopo. Lo mettemo sull’albero di Natale di pfmagic per un pò. Un paio di anni fa ho restituito il modellino di Star Voyager a Bob Smith al Classic Gaming Expo, dopo una lunga orbita attorno al sistema solare. Bob lo ha donato al loro museo.
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